Scrive Caroline Elam:
Sebbene Mantegna avesse accettato di recarsi a Mantova nel gennaio del
1457, egli vi arrivò con tre anni di ritardo rispetto a questa data.
A parte le commissioni a Padova e a Verona, causa del ritardo potrebbero
essere stati i dubbi relativi al trasferimento. In precedenza aveva avuto
una sola esperienza di corte, quando, diciottenne, dipinse un doppio ritratto
per il marchese Leonello d'Este di Ferrara. Leonello era il cognato di
Ludovico, e potrebbe aver raccomandato a quest'ultimo il Mantegna, anche
se la precocità dell'artista gli aveva già fatto ottenere
una considerevole fama. Aveva dipinto gran parte di un ciclo di affreschi
nell'Eremitani di Padova (ora largamente distrutto) e stava completando
una nuova pala d'altare per San Zeno, a Verona. La presenza in lui degli
esperimenti prospettici di Donatello (a Padova tra il 1443 e 1454), di
una tecnica pittorica raffinatissima e di una incomparabile familiarità
con l'antichità classica, lo avevano reso caro ad un circolo di
acculturati mecenati e di eruditi umanisti, a Padova e a Verona.
Precisa la Tietze-Conrat:
Tutto quel che dipinse nei primi anni a Mantova è andato perduto,
e le fonti e i documenti, sebbene in gran copia, offrono soltanto argomenti
a ipotesi. E' questo soprattutto il caso della decorazione della Cappella
ducale, citata con frequenza nelle lettere del Marchese al Mantegna in
Padova. Dovette essere un'opera della massima importanza, poichè
nell'Atto di donazione del 4 febbraio 1492, fra i tre servizi importanti
resi dal Mantegna alla famiglia Gonzaga, son citate per prime 'le famose
e stupende pitture fatte qualche tempo addietro ('quondam') nella Cappella
del nostro Palazzo'...
Associato a questo periodo di transizione sarebbe proprio il cosiddetto
Trittico degli Uffizi, composto da tre tavole di misura dissimile,
raffiguranti l'Ascensione, l'Adorazione dei Magi e la Circoncisione.
Tutti questi dipinti avrebbero fatto parte, come vedremo, dell'apparato
decorativo della Cappella sopra citata, insieme alla Morte
della Madonna del Prado, alla Sacra Conversazione di Boston
e alla Discesa al Limbo.
Tuttavia, la prova certa di tale accostamento ancora manca. Questo non
ci impedisce di ammirare l'eccezionale rigore figurativo delle prime tre
opere, in special modo l'Adorazione, in cui il nutrito corteo di personaggi
sembra rappresentare un intero mondo che infine converge, dopo un lungo
e serpeggiante cammino, verso la piccola grotta gremita di angeli.
Così si esprime il Camesasca:
Quanto alla cappella marchionale e agli eventuali affreschi che la ornavano,
non se ne sa più nulla, sebbene sorprenda che nei rimaneggiamenti
del castello si sia potuta distruggere un'opera di cui i Gonzaga facevano
gran conto. Ma se, come sembra logico ammettere, il Trittico degli Uffizi
e la Morte della Madonna nel Prado vi costituirono, assieme ad altri
elementi sconosciuti, un decoro compreso entro cornici dorate, alle quali
accenna un documento del 1464, non tutto ciò che si trovava nella
cappella andò perduto. L'ipotesi si rivela tanto più convincente
in quanto il trittico suddetto, così come appare, è privo
di unità compositiva e iconografica, e senza dubbio proviene da
un rimaneggiamento tardo; la tavola madrilena, idealmente integrata dal
Longhi con il frammento di Cristo con l'animula della Madonna nella Collezione
Baldi di Ferrara, raggiunge le dimensioni dei laterali fiorentini; e soprattutto
perché la qualità delle opere appare assimilabile agli inizi
del soggiorno mantovano: specie l'Ascensione e la Morte della
Madonna, mentre l'Epifania e la Circoncisione sono alquanto posteriori.
Sulla prima delle quattro tavole rimane ben poco da osservare che non si
sia detto circa la predella di San Zeno, alla quale è molto prossima
per gusto e fattura, e circa l'Assunzione Ovetari, il cui schema
si trova qui riecheggiato con intenti più naturalistici, determinando
un risultato assai meno eletto. Le nostre predilezioni vanno senz'altro
alla Morte della Madonna, dove il Mantegna accosta rossi e carmìni,
gialli e celesti con una spericolatezza degna del Greco; e al centro del
pavimento crea una pozzanghera di luce che anche a Venezia avrebbe potuto
passare per una primizia, o almeno per una finezza aggiornatissima. Senz'altro
è la pagina più altamente ispirata di tutta la vicenda mantegnesca.
Interessante, a proposito dell'indubbio equilibrio presente anche in
queste tavole, l'opinione di Giorgio Mase' Dari, che acutamente interpreta
una delle componenti primarie dell'opera del Maestro:
Oggi la pace è sulle bocche di tutti come una spada, negli occhi
come lampi di odio. Ma vi è anche, celata in ognuno come fondamentale
tendenza biologica, una istanza verso la vecchia pace tradizionale. Per
questa istanza la pace è 'non dovere, non volere più'; ritrovarsi
in un ambiente immune dal mutamento, ove tutto sia conosciuto e 'riconosciuto',
ove le relazioni tra le persone, tra le cose, non implichino sopraffazione
ma familiare accostamento.
A questa istanza dispongono, placandola sempre, le opere di Mantegna, a
volte addirittura esaltandola con l’esempio della sua stabile realizzazione
in un personaggio. Sono quelle sue Madonne dalle espressioni e gesti così
accuratamente definiti e tuttavia così consoni alla precisione delle
vesti e degli ornamenti; così persuase degli avvenimenti, dell’ambiente,
e ad essi così docilmente equilibrate da farci dire: Ecco il volto
della pace.
Il discorso apparirebbe fazioso se rifiutasse il San Sebastiano
di Venezia e il Cristo di Brera, questi due
insospettabili luoghi di desolazione nell’ordinato giardino del Mantegna.
Ma se possono rappresentare due grossi problemi nella ricostruzione della
personalità del pittore, tali non appaiono ad un’indagine riferita
puramente ai loro valori strutturali. Le altre opere parlano di una tranquilla
certezza, queste della sua definitiva sconfitta; tuttavia il contrasto
non proviene da una diversità del contenuto narrativo ma da una
differente struttura della narrazione...
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