Duemilaventi



E dalla Terra e sul mare scese
il racconto di uno stormo di poeti
che nelle tenebre degli anni per diletto
leggeva parti di un destino infame

vennero scossi dal grido soffocato
un mormorio di navi già all'attracco
la corda passa da una mano all'altra
la fune cerca il gancio a cui legarsi

mentre la chiglia preme sulle onde
e per un istante pare che la schiuma svenga
e qualche ninfa dalla storia orrenda
punti alla riva per denunciare il danno

un danno una morte quella sepoltura
il modo che abbiamo per solcare la paura
e ricordare quanti sono caduti invano
per il nodo che oscilla lungo il filo

per sciogliere al vento il nostro cuore
in una specie di battaglia incerta
una guerra per pochi vista di taglio
nel cinema estivo abbandonato

in cui ragazze spostano sedie a iosa
per sistemare un trucco appena definito
appena con calma delineato
dalla matita del soffio indolenzito

nuove parche assetate vanno in trio
dimentiche di tutto e anche questo
è un dono un dono che ricorda
in fondo il grande slargo della vita

perché vivere sarà di certo amare
sarà tuffarsi nel desiderio nuovo
ma è anche l'inganno in cui si vive
e basta e chi muore tace

non tace però nei cimiteri
che immaginiamo mille
ora distesi secondo mille fedi
già ripensate pensando quella scritta

pensando sul sepolcro dove a caso
si vede insomma piangere qualcuno
forse perché del bosco la parvenza è austera
e il verde sta così bene con il nero

dei nostri sogni ammantati d'oro
da cui viene questo precipizio
la stranezza dello sposalizio
la gioia stravagante che recinta

il rettangolo delle lingue già diverse
cimitero di Istanbul sulla collina
punteggiata da sassi ormai in rovina
come se il tempo volesse che la rovina umana

sia soltanto una nella folla mattutina
e la clorofilla dai licheni in poi
tutta si prende il corpo la sembianza altera
che pure un giorno ci sembrò assai vera

cimitero a Mosca cimitero sulla sponda
dove donne chine restano impegnate
in un lavoro che toglie la fatica
di soffrire invano e qualche volta

viene un fumo di incenso assai sottile
e pare quasi che il mistico ritorni
a esser proprio colui che vuole adesso
ma non c'è un'ora mai perché il riposo è chiuso

certamente lontano da ogni abuso
della mente silente addormentata
china a ritirarsi ogni qualvolta
una fiamma appare sul cammino

di chi ama rispecchiarsi in cima
e rimirare la sua qualità perversa
talvolta a metà corrosa e consumata
dal viandante infine dalla voce silenziosa

in cui si trova solo la copia di una fiaba
detta troppe volte e l'orco e quella strega
che seppe infantasmare appena
qualche istante di piacere sopra il letto

da consumarsi poi con calma nel diletto
o forse a Shangri-La ardono i corpi
trasformano in ceneri le spoglie
d'ipotesi sfuggite alle parole

con tatto più efficiente e meno sporco
delle nostre carovane sulle strade
là non sono più quelle persone
che mangiano il morto salutando tele

perse in parata tra i colori antichi
desolati e spenti divorati e accesi
là a Shangri-La è uso stare in casa
mentre la cenere si raffredda un poco

e poi viene sparsa dentro il paradiso
atomo corrente sulla brezza
si congiunge a natura romanticamente
troppo ardire forse ed è banale dire

che nel piccolo sta il grande e l'eterno scappa
appena trova una porticina a lato
così laggiù nel borgo messicano
danzano intatti con le vene cave

in cui l'acido infantile che trasforma
il miracolo in gioventù perenne scorre
danzano i folli per ricordar la morte
e portano tutto là dentro un gran buco

dove accatastano i beni del defunto
di valore tanto poco o nulla non importa
quasi pensando che una vita
debba misurarsi con le cose

proprio perché lei le urta come
il giocattolino spinto dalla molla
che inverte poi la corsa dimostrando
come ogni colpo preso già rifletta

il verso opposto e ride quel bambino
nel suo saper perduto e sconosciuto
perché egli sa più di quanto il saggio
abbia mai creduto di scoprire quando

tra i versi completava le sue righe
sfibrate dalla sorte assai crudele
alza le braccia e in altro rito
così il prete grida giù a Parigi

in parole latine che un altro è andato
tornerà a posarsi su quel colle
dove di bianchi denti e membra molli
si vestono le siepi incorniciate

visitatori affannati cercano il nome
per trovar che il nome era già in due
e un nome all'altro tornando si riaggancia
creando la collana misteriosa

che di vita in vita passa vorticando
con il gesto irrequieto della mano
che sfiora il dito dell'amata e
accarezza l'anello a cui si arrende

sì vagamente vagamente scende
nell'erebo che triste era chiamato
nella fossa in cui contempla lieto
gli strati intinti della terra rossa

c'era una volta un grillo che cantava
tra una zolla e l'altra poi saltava
sveglio io restai tutta la notte
con le dita contando l'ora e lo spazio

che separava gli istanti stupefatti
nella caduta della sabbia ancora
a New York gli ebrei consacrano il sepolcro
una volta sola per millenni in corsa

non danno peso al corpo e a quel che resta
macinato dal tempo ormai in frantumi
ricordano il verbo e il ricordo stesso
lievi e ritorti tra i grattacieli corti

negando le fondamenta l'opera il progetto
solo rimane a loro il seme dell'azzurro
questo fiore vissuto prima d'esser tale
prima d'avere petali rosa viola gialli

credono infine nascosto sia nel fondo
benedetto dall'incontro della vita estinta
e della luce eterna che senza sosta viaggia
se la metropolitana corre con i treni

talvolta spuntando fuori dall'asfalto
sopra ponti e archi sferragliando
ad altezza mezza in cui si plana
per cui l'occhio del buio ora li vede

senza contrasto senza precipizio
con l'andar veloce di quel sodalizio
che evidentemente scorre nella storia
e passa lungo le stragi ormai previste

cimitero di Roma accanto addosso
allo strano oggetto sognato dal tribuno
che voleva gli egizi rammentare
perché al pane dava un fuoco vano

tra le mura romane più che eterne
buttate tra il colosso e il gladiatore
riposa l'arbusto in cui rimbalza
il vagare stanco degli infiniti canti

raccogli ancora la voce del recluso
che insonne sceglieva lungo i giorni
l'uso dei ragionamenti adamantini
senza badare agli immortali doni

eppure ragionando sulla libertà
sulla politica e sulle masse
tanto lontane così distanti e mosse
abituate in coro a morire in fretta

perché il pasto imbandito non serviva
e da lì non nasceva la salvezza
ma la piramide fu ricostruita
grazie all'odio delle anime in salita

sollevate dal dio dall'orrida sua voglia
dall'ardente face accesa sotto il becco
nel deserto caduto a divorare
ogni nato di donna ogni canzone

divenne poi leggenda e poi maniera
da narrare tra i sospiri della cera
la schiavitù da cui si era fuggiti
lungo il golfo aperto dal bastone

Occidente Oriente gli altri poli uniti
ora nella virtù esatta di chi annegò davanti
al bianco forte di chi spezzò il suo canto
di chi fuggiva dal genitore avaro

inquieto senza rima e senza metro
e poi tutti a cercar bellezza
compitando le parole nuove
gli oscuri significati del sorriso

destinando a platee incantate
lo sberleffo avvitato dell'artista
piccole onde nascono nel sole
mentre il Mediterraneo si diverte

tomba di molti e luogo in cui l'abisso
è semplicemente il raggio esausto
che si frange sopra l'onda già svanente
e ancor più giù il luogo dell'attinia

dell'oloturia della marina stella
il cielo in cui perdersi di notte
come il pastore chinato sulla luna
cimitero in Grecia ma non fra i templi

non lungo le stanze micenee
tra cipressi invece che sembrano piangenti
come i toscani e quelli di Livorno
sepolcri indovinati dal destriero

che la fantasia ha sellato di mattina
e poi via saltando l'indovina
trascurando speranza ardore onore
precipitando infine nel gran gesto

la gioventù intera e quel che poi è rimasto
tutto facendo per godersi un verso
per scolpire a colpi di martello
sull'ingegnoso bronzo ora lucente

un refolo una piuma il volar silente
del fringuello che canta fino a sera
e la sera secondo alcuni fa da inizio
al giorno vero e la notte prima

noi bruciamo tutti e poi viviamo
e al contrario infine ricadiamo
sapendo d'esser simili a clessidre
voltate rivoltate dal destino

per veder sottosopra il lor cammino
così ci risvegliamo ardenti
è tutto nostro il buio ormai trascorso
e bruciamo il giorno e l'anno e il mese

regalato a noi dalla fortuna
talvolta la fiamma si vede da lontano
talvolta si infiltra piano piano
comunque il fervore qui raduna